La prima impressione dei dipinti di Bruno Casetta ci consegna un forte connotato di un pittore con spiccata attitudine autodidatta, e bene premetterlo. Pertanto le sue scelte iconografiche, il suo stile e la sua poetica non lasciano mai intravedere l'insegnamento e la disciplina di un ben identificato maestro, né tanto meno l'appartenenza a una Scuola o a un Movimento coalizzato da un influente critico d'arte. Ciò non significa, però, che Casetta sia un artista di cultura artistica debole, o comunque privo d'ogni riferimento storico artistico. Anzi. Come emerge dall'intervista pubblicata in catalogo, la passione di Casetta per la pittura nasce precocemente a Parigi, a contatto con la quadreria del Jeu de Paume, che in quei fatidici anni settanta era ancora per antonomasia il museo degli impressionisti. Qui però Casetta ammira non tanto i "classici" Manet, Monet, Renoir e Degas, bensì i postimpressionisti e soprattutto i fauves. Lo affascinano Seurat, Signac, Matisse e Derain al punto da indicargli la via maestra verso una pittura emozionale, sulla linea del Pointillisme e dell'Espressionismo francese. Il linguaggio pittorico di Casetta evolve da subito in chiave postmoderna a contatto, di amicizia, e non di scuola, con due ben noti artisti torinesi, Ugo Nespolo e Salvo, che fin dagli anni settanta, dominati dall'Arte Povera e Concettuale, hanno avuto il coraggio e l'orgoglio di continuare a dipingere nonostante tutto. Da Nespolo Casetta riprende la volontà di costruire un quadro per molti aspetti decostruito. Lo smontaggio della figurazione in Nespolo avviene il più delle volte tramite un vero e proprio incastro a mosaico di singole "tessere" di legno che accostate diventano una colorata e vivace composizione unitaria. Anche Casetta, dipingendo a olio su tela, adotta una stesura frammentata del colore, suddivisa in tante ben distinte pennellate, vivide, larghe e vorticistiche che solo nella visione d'insieme assumono connotazione figurativa. Per quanto concerne la scelta dei soggetti Casetta e assimilabile più a Salvo. Le "cose più banali", un grappolo d'uva, gli ombrelloni sotto il sole d'estate, una bicicletta, sono pretesti iconografici per un esercizio pittorico non fatto en plein air, ma sempre in studio, e neppure sulla base di immagini fotografiche, ma avendo come sola ispirazione la memoria lontana nella sua genesi ispiratrice della realtà. Non è quindi l'apparente naturalismo il leitmotiv di Casetta. Il paesaggio, e tanto più la campagna, per lui non sono importanti sul piano tematico. La pittura di Casetta e metapittura, in quanto è il manifestarsi di una urgenza quasi fisica ed esistenziale di far diventare materia pittorica l'emozione, l'energia vitale. Quando Casetta dipinge grappoli d'uva non è perché in lui affiora il ricordo di quand'era un sommelier di successo, ma perché quel soggetto bucolico ingigantito e riprodotto più volte in diversi quadri con varie dominanti cromatiche, gli consente di parlare attraverso il colore, comunicando stati d'animo, inquietudine, serenità, gioia e dolore. Piero Chiambretti |
Scrivono di lui...... in questo blog potete trovare alcune delle recensioni che ritenevo più interessanti nel mio percorso pittorico. E’ presente anche un’intervista di Guido Curto, anzi un “amichevole colloquio” tra il critico e l’artista, tratta dal libro “Il gusto della pittura” Archives |